La prima somministrazione della pillola denominata RU486,
per l’aborto farmacologico, è stata effettuata al Policlinico di Bari. La paziente è una donna di 30 anni, sposata , che ha deciso di interrompere la gravidanza per problemi di salute; essendosi in passato sottoposta ad un intervento di aborto chirurgico e non volendo più entrare in sala operatoria, ha deciso di optare per il metodo abortivo farmacologico. L’RU 486, in realtà, era stata somministrata in Italia a partire dal 2007, in via sperimentale, in molte regioni del Nord, in particolar modo a Milano e Torino, in seguito all’approvazione da parte dell’EMEA; ma solo nel dicembre del 2009, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è stato dato il via alla commercializzazione e alla distribuzione di essa. Scoperta nel 1986 in Francia, l’RU 486 viene utilizzata in molti Paesi europei da diversi anni; in Francia e in Svezia per esempio, il 30% degli aborti avviene per via farmacologica. Il metodo farmacologico, che deve essere eseguito entro la 7° settimana di gravidanza, prevede una prima fase caratterizzata dall’assunzione di tre pillole RU 486, che interrompono lo sviluppo della gravidanza, e una seconda fase, a distanza di 48 ore, che prevede l’assunzione di due compresse contenenti una prostaglandina che provocano l’espulsione dei tessuti embrionali. In Italia, il Ministero della Sanità ha disposto che la somministrazione della pillola avvenga in regime di ricovero; l’abbandono dell’ospedale da parte della donna pugliese a poche ore dall’assunzione del primo ciclo di farmaci, ha quindi suscitato non poche polemiche da parte delle autorità. Il ministro Fazio ha infatti ribadito che la legge prevede il pieno rispetto del regolamento e qualsiasi trasgressione di esso costituisce reato; Fiore invece, assessore alla sanità pugliese, ha espresso il pieno appoggio alla donna considerando le procedure ipocrite in quanto un metodo, come quello farmacologico, meno invasivo, non può richiedere una degenza più lunga rispetto al metodo chirurgico.
per l’aborto farmacologico, è stata effettuata al Policlinico di Bari. La paziente è una donna di 30 anni, sposata , che ha deciso di interrompere la gravidanza per problemi di salute; essendosi in passato sottoposta ad un intervento di aborto chirurgico e non volendo più entrare in sala operatoria, ha deciso di optare per il metodo abortivo farmacologico. L’RU 486, in realtà, era stata somministrata in Italia a partire dal 2007, in via sperimentale, in molte regioni del Nord, in particolar modo a Milano e Torino, in seguito all’approvazione da parte dell’EMEA; ma solo nel dicembre del 2009, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è stato dato il via alla commercializzazione e alla distribuzione di essa. Scoperta nel 1986 in Francia, l’RU 486 viene utilizzata in molti Paesi europei da diversi anni; in Francia e in Svezia per esempio, il 30% degli aborti avviene per via farmacologica. Il metodo farmacologico, che deve essere eseguito entro la 7° settimana di gravidanza, prevede una prima fase caratterizzata dall’assunzione di tre pillole RU 486, che interrompono lo sviluppo della gravidanza, e una seconda fase, a distanza di 48 ore, che prevede l’assunzione di due compresse contenenti una prostaglandina che provocano l’espulsione dei tessuti embrionali. In Italia, il Ministero della Sanità ha disposto che la somministrazione della pillola avvenga in regime di ricovero; l’abbandono dell’ospedale da parte della donna pugliese a poche ore dall’assunzione del primo ciclo di farmaci, ha quindi suscitato non poche polemiche da parte delle autorità. Il ministro Fazio ha infatti ribadito che la legge prevede il pieno rispetto del regolamento e qualsiasi trasgressione di esso costituisce reato; Fiore invece, assessore alla sanità pugliese, ha espresso il pieno appoggio alla donna considerando le procedure ipocrite in quanto un metodo, come quello farmacologico, meno invasivo, non può richiedere una degenza più lunga rispetto al metodo chirurgico.
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